KRISTIAN SENSINI “KUARTETS”: MUSICA PER GLI OCCHI

E’ cosa nota che la stereofonia è mezzo nobile per scrutare la musica anche con gli occhi.

Del resto, il multicanale connesso a una smart tv di ultima generazione, consente un’immersione a tutto tondo ben maggiore e una comprensione “hic et nunc” dell’evento musicale; che si tratti di un’opera del melodramma o di una dinamica orchestra sinfonica, inquadrata nel gesto e nello sviluppo armonico, rivela tutto e subito: intenzionalità del direttore, timing degli strumentisti, solennità dei volti e attraverso queste “molliche disseminate”, infine, una discreta comprensione del pensiero artistico sotteso del compositore.

Ma la stereofonia, occlude il canale visivo, attivando un processo di comprensione ben più difficile e foriero di tutt’altra soddisfazione. Non c’è libretto né racconto premonitore che possa semplificare un ascolto stereofonico: quel che arriva, è tutto sintesi mediata dallo stato d’animo dell’ascoltatore e dal substrato culturale ed esperienziale proprio ed unico; individuale.

Nel jazz, ad esempio, persino il titolo del brano è difficilmente riconducibile alle atmosfere e alle ritmiche ascoltate anzi, proprio nel jazz, l’allure (più nel significato inglese che francese) del live, proietta spesso ben altre immagini che quelle immaginabili dal titolo.

L’ascolto di quest’album invece, non può in alcun modo autonomizzarsi dalla titolistica che lo accompagna. Come potrebbe, trattandosi di una composizione per colonna sonora. E tuttavia, ha un senso un ascolto rilassato di un album contenente musiche per film? Certamente e con gran piacere d’ascolto, aggiungo. E’ proprio e più che mai il supporto fisico del vinile a rendere giustizia autonoma alla musica contenuta in questo gradevolissimo Kuartets del giovane compositore, pianista e flautista Kristian Sensini che ha studiato composizione al Conservatorio di Pesaro e si è affinato con masterclass e seminari tenuti da Ennio Morricone, Nicola Piovani, Hans Zimmer, per citare solo i più conosciuti dal grande pubblico.

Kristian assume tanto ma propone originalità compositiva assai diversa, a mio parere assai più prossima alle dinamiche minimaliste di Arvo Part, certamente meno sacrali, ma fortemente “visive”, senza risultare mai banalmente didascaliche.

Una luminosa passeggiata in bicicletta, Bicycle Promenade, apre l’A-Side con uno squarcio primaverile, dislocandomi fuori dalla sala d’ascolto con ritmico realismo da pedalata gioiosa e compassata; posso carpire gli odori dei fiori portati al volto dalla delicata brezza di aprile. Sorrido all’idea dell’auspicio, del desiderio di Primavera, dopo un anno infausto come quello che si chiude a giorni. Sei tracce per lato con un tempo perfetto per il format analogico e dopo aver esplorato La stanza di Vanni al crocevia della prima facciata, mi imbatto realmente nella percezione di un incontro casuale, abilmente disegnato sulla pagina del pentagramma di Random Encounter.

Il rito del disco in vinile, a metà dello sviluppo musicale, prevede una salutare “alzata di chiappa” invisa ai digital fans idolatri del “looping”.

Un gesto “di servizio” ma con l’abile potere di resettare l’ascolto e riaprire, a volte, nuove atmosfere.

Le Fleurs du Mal apre dunque una B-Side di senso opposto alla precedente facciata, trascinando l’ascoltatore nella melanconia dei violini che tratteggiano armoniche struggenti nello spazio d’ascolto. I brani che seguono, generano stati d’animo alterni, facilmente sconfinanti nel turbamento ma che trovano sempre una toppa in cui infilare la chiave per rivedere la luce. E’ proprio l’alternanza emotiva, rischiarata dalle cesure di frequenti, delicati pizzicati, la forma espressiva più consolante dell’album. Il cerchio si chiude con Waiting for Godot in fondo alla sequenza dei brani del secondo lato… o forse no (?).

Il cadenzato pizzicato perde d’un tratto la funzione consolatoria e interruttiva dei precedenti per trasformarsi in una goccia cinese lunga 4 minuti al termine dei quali ci si attenderebbe “la quadra” …che non arriva.

L’attesa di Godot non appaga la speranza di vederlo apparire. La filologia è salva, l’ascoltatore moderatamente amareggiato, la quota artistica, cinicamente compiuta.

Un bell’album, denso di spunti immaginifici, aperture solari e ricadute noir. Timbricamente ineccepibile ma data la costruzione in studio, avrei preferito maggiore attenzione per i tempi di decadimento armonico, a volte avari di leggiadria “nell’aere”. Meticoloso lo scontorno degli strumenti, dei quali spesso sono intuibili le terga, ma una maggiore larghezza della scena, avrebbe conferito certamente respiro al tutto.

Musica per gli occhi certamente; ma anche e soprattutto, per anime curiose e attente.

visita il sito di Kristian Sensini

leggi altre recensioni di Carlo Elia