“Dionisiaco” di Mosè Andrich si presenta come un’opera musicale densa e ricca, capace di stimolare l’ascolto senza mai cadere nella monotonia.

Pianista di Belluno con una solida formazione classica, Andrich ha ampliato la sua esperienza nel jazz, arricchendo il proprio linguaggio musicale con contaminazioni di varia natura.

Il suo lavoro è un jazz che non si limita a una definizione rigida, ma che abbraccia le sonorità cameristiche del Modern Jazz Quartet, pur proiettandosi verso un’interpretazione contemporanea aperta a numerose influenze provenienti da ogni angolo del mondo.

Il concept che anima “Dionisiaco” si sviluppa attorno al dualismo tra l’Apollonio e il Dionisiaco, una riflessione filosofica che si radica nell’opera di Friedrich Nietzsche, che scriveva: “L’uomo è un animale che ha bisogno di musica, e la musica è una meravigliosa malattia, ma la sua malattia è anche la sua salvezza” (Frammenti postumi, 1888).

L’Apollonio rappresenta la razionalità, la misura e l’armonia, mentre il Dionisiaco incarna l’irrazionalità, la passione sfrenata e la forza creativa che scaturisce dal caos.

Andrich, nelle sue note di copertina, esprime chiaramente questo dualismo come un motore della creazione artistica, dove l’uno non esiste senza l’altro, portando all’espressione completa dell’arte e della cultura.

Nietzsche in “La nascita della tragedia” scrive:

“La tragedia nasce dall’unione del principio apollineo della bellezza e dell’ordine con il principio dionisiaco della forza, della passione e del caos.”

Il brano di apertura, “Parados”, cattura subito l’ascoltatore con la sua melodia affascinante e le note che si intrecciano in un gioco di spazi sonori. “Apollineo” si sviluppa come una figura mitologica, creando una serie di cambiamenti tematici che giocano su sfumature di intensità, alternando passaggi delicati e momenti più vigorosi.

Al contrario, “Dionisiaco” è un’esplosione sonora, un vero e proprio baccanale di suoni che si arricchiscono di stratificazioni complesse, tra discese vertiginose e risalite travolgenti, un tripudio di energia che sembra incarnare il dio Flufluns, simbolo del piacere e dell’ebrezza. Come scrive Nietzsche,

“Il Dionisiaco è l’eterno flusso del divenire, un passaggio continuo tra la vita e la morte” (La nascita della tragedia).

“Exodos”, breve ma intensa, introduce il momento di sospensione tra l’incertezza e la rivelazione, creando un’interruzione meditativa prima di cedere il passo all’affascinante e frammentato “Fractals”.

Questo brano racchiude l’idea di un continuo flusso di suoni che si ripetono in forme diverse, un concetto che Andrich descrive come un “perpetuum mobile”. Le sonorità di “Fractals” mescolano il passato e il futuro, rivelando una visione musicale caleidoscopica che riflette la natura stessa del cambiamento.

Come scrive il filosofo Henri Bergson: “Il tempo è il fluire continuo della durata, e solo attraverso il movimento possiamo coglierne la profondità.”

“Menuet” emerge con un tema potente e avvolgente, quasi predatorio, capace di catturare l’ascoltatore e trasportarlo in un vortice di sensazioni piacevoli. Poi, nel finale, “Everymen” segna un ritorno alla terraferma, con una melodia più intima e riflessiva.

Ispirato all’omonimo romanzo di Philip Roth, il brano affronta la condizione mortale dell’uomo, aggiungendo una dimensione di consapevolezza esistenziale al lavoro nel suo complesso. In questo senso, si richiama la celebre affermazione di Søren Kierkegaard:

“La vita può essere compresa solo all’indietro, ma deve essere vissuta in avanti.”

Nel complesso, “Dionisiaco” di Mosè Andrich è un album elegante e raffinato, ma anche espansivo e visionario. Con una scrittura musicale che spazia dalla cultura classica al jazz contemporaneo, Andrich costruisce una narrazione sonora che esplora la tensione tra razionalità e passione, tra ordine e caos, in un incontro tra tecnica e creatività.

Come sottolinea lo stesso pianista, l’album è una riflessione sul processo creativo e sulle due forze complementari che lo animano, con la follia come protagonista, sempre alla ricerca dell’ignoto e pronta a tuffarsi nell’abisso senza timori. Citando ancora Nietzsche:

“La follia è l’unica via per toccare la verità” (Frammenti postumi, 1888). Un lavoro che non solo intrattiene, ma stimola profondamente la riflessione e l’immaginazione.

Valore artistico molto elevato. Buona la registrazione, forse un pelino asciutta. Ma sempre molto gradevole.

Buon ascolto.

leggi altra recensione di Vincenzo Genovese

visita il sito dell’etichetta dodicilune