A spanne, solo l’arte sembra esserne immune o perlomeno, nessuno finora ha avuto l’ardire di mettere in rigorosa classifica Michelangelo e Raffaello; Monet e Picasso. In verità, suoni sbiascicati sembrano scappar di bocca ai contemporanei di quest’ultimo, quando davanti alla rottura schematica dello spagnolo, traditi da un rigurgito di emozione, affogano l’insano sentimento in un diplomatico “fra i contemporanei, certamente il più grande, sebbene non lo si possa paragonare ai grandi pittori classici”. Un’affermazione cerchiobottista, in grado di salvare capre e cavoli ma che rivela l’incontrollabile tentazione di voler mettere tutto in rigoroso ordine d’importanza, per acquietare il senso di inadeguatezza rispetto al mistero dell’emozione pura, semplice, genuina, immediata.

E cosa è più immediato della musica, vivido mezzo di trasporto delle evocazioni? “la musica è di tutti. Solo gli editori pensano che appartenga a loro”, ebbe a dire John Lennon e non dissimile dalla teoria dell’indipendenza del messaggio dalle primordiali intenzioni dell’emittente, cara alla comunicazione moderna e dunque a me. Le evocazioni, si muovono sul piano  temporale, differiscono per intensità e peso e per giunta, sono tutte accomunate dalla totale dipendenza dal vissuto personale.

Personali dunque, le emozioni che per loro mezzo affiorano e scalano la speciale classifica mentale di ognuno di noi, in un trionfo della soggettività più autentica e pura. La negazione di ogni classifica di merito dunque …e così sia. E invece, quando le ragioni oggettivistiche sembrano non avere scampo, viene a sorreggerci la statistica, che ci permette di salvare l’ansia da classifica attraverso un semplice censimento quali-quantitativo che, prima mette insieme un “ghota” di opinion leaders; poi gli assegna un compitino semplice semplice: riempitemi un foglio con i vostri 50 album pop rock di riferimento e metteteli in ordine, il vostro personale ordine.

Nasce così la più discussa classifica dei 500 migliori album di ogni tempo, stilata dalla più autorevole rivista musicale del pianeta: Rolling Stone. Nella prefazione, quel gran cazzuto di Little Steven, impreca contro la classifica stessa che modifica la gerarchia delle sue preferenze e tuttavia, ne ammette l’assoluta validità, non tanto nell’ordine esatto in cui sciorina 500 album, quanto per la verità collettiva che ne viene fuori. Le motivazioni, sebbene nate dai vissuti di ognuno dei 273 votanti che coprono ogni decennio e ogni genere di musica popolare dal ’50 al presente, risultano perfettamente aderenti alla realtà e appaiono inconfutabili nelle spiegazioni.

E’ dunque la statistica a mediare e oggettivare il tutto, dacché la classifica dei 500 album, nasce dalla semplice cernita delle 273 singole classifiche da 50 album a testa. Non fanno scandalo il 1° posto per Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band e neanche il 3° posto di Revolver e il 5° di Rubber Soul, intervallati dal 2° di Pet Sound dei Beach Boys e il 4° di Dylan. Non il 7° dei Rolling quanto l’ottavo dei Clash con London Calling a ergersi baluardo di indipendenza e autorevolezza della classifica, incurante delle urla di lesa maestà dei fans degli U2 (solo sessantaduesimi benché ne piazzino 6 nei 500) e dei Pink Floyd (quarantatreesimi benché ne piazzino 5 nei 500).

Fenomeno complesso da categorizzare il pop rock, per via degli innumerevoli rivoli in cui scorre la vena creativa; si capisce dunque la contestazione del popolo Floydiano che anteporrebbe The Dark Side of the Moon all’adorazione della propria madre ma è così che stanno le cose, con buona pace di tutti. 273 fra produttori, musicisti, impresari, dirigenti di etichette e critici musicali, hanno definito quanto la loro vita professionale e creativa sia stata plasmata da questi album e dunque chiarito come persino molti dei loro album in classifica, abbiano tratto ispirazione da altri presenti più avanti o dietro nella medesima.  E’ la musica stessa che si auto-oggettiva rappresentandosi come un fiume in movimento le cui acque si bagnano reciprocamente senza soluzione di continuità. Nessun album per quanto originale, lo è in tutto e per tutto, se non in relazione agli altri e risulta impossibile definire un primum movens. Eppure, per semplificazione logica e per convenienza, è proprio Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band il “primo motore” Aristotelico, perlomeno nella stagione più proficua per il Pop Rock, così come Kind of Blue lo è per il jazz, London Calling per il post punk, o The Complete Recording di Robert Johnson, rappresenta il “santo graal” del blues. Musicofili, audiofili e rocckettari, fatevene una ragione.