Il titolo richiama una convinta declamazione. Nutrite masse di ogni età e ceto sociale, dal giovane imberbe alla persona matura, dal professionista all’operaio, accusano reazioni repulsive nei riguardi del genere musicale definito “Classico”.
La causa ha origini lontane e profonde ma la repulsione ha raggiunto negli ultimi decenni percentuali preoccupanti. A seguire, come rinforzo, le solite frasi ad effetto: “è musica antica, noiosa, poco emozionante”.
Bisogna tener conto della forma mentale di un soggetto che, dall’infanzia fino all’età adulta, assorbe forme di linguaggio sonoro semplici, poco impegnative, immediatamente godibili. La situazione è ulteriormente peggiorata con l’avvento della tecnologia digitale, i famigerati MP3 offrono sì una gran quantità e varietà di generi musicali, ma tolgono ciò che è necessario alla comprensione intima dell’opera d’arte: attenzione e concentrazione.
Daniel Barenboim nel suo libro “LA MUSICA E’ UN TUTTO”, offre una un’analisi molto precisa:
“Per colmo di sfortuna ed ironia, l’industria discografica ha creato una genìa di ascoltatori tendenzialmente distratti, cui è data la possibilità di ascoltare un pezzo musicale in ogni luogo e in ogni momento, anche se impegnati in altre faccende. La tecnologia in sé non è negativa né positiva, è semplicemente uno strumento il cui uso viene determinato dal singolo. La musica registrata può senza dubbio avere la funzione positiva di accrescere la familiarità con un pezzo, grazie agli ascolti ripetuti. Tuttavia, se usata senza discernimento e senza concentrazione, diventa un semplice brusio di fondo. E’ grazie alle tecnologie di registrazione che la musica e la Muzak, sua controparte disumanizzata, sono onnipresenti nella nostra società.”
Molti sono gli audiofili che cadono nella trappola degli ascolti frammentati, volti solo a testare un amplificatore, a spostare diffusori alla ricerca della posizione ottimale, dimenticando che la musica classica è godimento di un’opera d’arte, perciò meritevole di attenzione, di comprensione di preparazione.
Barenboim affronta l’argomento sotto l’aspetto tecnologico ma, almeno nel BelPaese, le ragioni sono anche altre: la lenta eutanasia dell’educazione alla musica, la chiusura di orchestre e la riduzione dei finanziamenti agli enti lirici unita a una politica assente, hanno ridotto all’osso la platea dei fruitori. “La cultura non paga” è un’affermazione triste ed errata, da condannare senza esitazione. Basta affacciarsi oltralpe per capire che la cultura paga, eccome se paga! Meditate, amici audiofili.