Pollution: l’album contaminante

“La portata di un condotto 
è il volume liquido 
che passa in una sua sezione 
nell’unità di tempo: 
e si ottiene moltiplicando 
la sezione perpendicolare 
per la velocità che avrai del liquido. 
A regime permanente 
la portata è costante 
attraverso una sezione del condotto.
Atomi dell’idrogeno 
campi elettrici ioni-isofoto 
radio litio-atomico 
gas magnetico. 
Ti sei mai chiesto quale funzione hai?”

Un timing che anticipa e scandisce l’interrogativo più attuale in questo momento nell’intero pianeta; avvilisce l’idea che siano trascorsi 50 anni invano.

Il Franco Battiato “progressivo” che non tutti conoscono, disegna psichedeliche metafisiche visioni nell’aria post sessantottina del 1972.

L’esclamazione “geniale”, sfuggita di bocca a un tal Zappa, di nome Frank, vale un Grammy con una spruzzata di Seltz e Nobel alla Letteratura.

L’inserimento nella top 100 del Prog italiano sa di giornalismo pilatesco, nella misura in cui non menziona la stratificazione di innumerevoli citazioni colte, della migliore coeva psichedelia mondiale, da Atom Heart Mother alle tastiere di Joe Zawinul e di Ray Manzarek, anticipando di un anno i conturbanti vocalismi di Clare Torry in The Great Gig in the Sky e di 9 anni, gli arpeggi della poco considerata “Ideomatic” dei francesi Rockets.

Niente male per uno che credeva nella reincarnazione e unica spiegazione possibile per motivare una tale preveggenza.

“Suis l’hotesse
Cerveau informatic
Control test
Bionic automatic
Suis l’hotesse
Ma voie est magnetic
Anti-stress
Dans l’ideomatic.”

Non è difficile scorgere connessioni con “ti sei mai chiesto quale funzione hai?” Vero?

In verità, nessuna; eppure, l’arpeggio di chitarra acustica è tremendamente assonante con “Plancton” che apre la B-side dell’album del nostro compianto. In entrambi i casi, la sospensione del tempo è ben descritta ed efficace. 

La domanda, posta “appena” 50 anni fa da Franco Battiato, è intrisa di una tale attualità da risultare avvilente nell’urgenza del tema che attanaglia oggi il pianeta.

Vero è che le moderne teorie quantistiche dell’entanglement descrivono perfettamente la correlazioni a distanza delle quantità fisiche dei sistemi, determinandone il carattere non locale della teoria ma anche così non fosse, tutte le complesse contaminazioni musicali del Battiato di Pollution, seguono di poco e anticipano di molto gli interrogativi universali degli anni 70 a cui la musica Progressive ha dato voce senza la pretesa di fornire risposte preconfezionate.

Franco Battiato si contamina con l’Asia quanto i Beatles di Revolver, contribuendo a quel movimento di europeizzazione degli interrogativi esistenziali anticipati dalle culture orientali.

Teorizzazioni a volte profonde, altre bislacche e tuttavia, sempre immensamente affascinanti.

Ascoltando Pollution ci si astrae, si galleggia, si annaspa nel flusso musicale inebriante senza mai poggiare i piedi su una landa sicura.

Non occorre del resto. Non si percepisce alcuna pressante necessità d’approdo. Serve affidarsi alle alchimie del “Maestro” per lasciarsi trasportare in un viaggio musicale alienante ma non paranoicamente angosciante.

Ho poca voglia si soffermarmi sui significati testuali di questo straordinario capolavoro; in questo riascolto critico, la mia ricerca verte sull’emersione delle assonanze che hanno dominato il genere prog negli anni 70 e le reciproche influenze fra artisti. Chi crede a una marginalità della scena prog italiana, farebbe bene a riconsiderarne il ruolo senza pregiudizi.

Pollution è l’archetipo dell’opera seminale; Franco Battiato poggia testi visionari su tappeti di musica sperimentale nel 1972, prima di molti,   contestualmente ad altri, meglio di tanti. 

Diffonde trame dense di curiosità intellettuali che certamente risuonano in tutta Europa e oltreoceano, spargendo semi progrock-psichedelici di cui molti terranno conto in seguito. 

Perché se è vero che nulla s’inventa da zero e le contaminazioni hanno legittima dignità, sarebbe altresì onesto riconoscere il primum movens d’ogni epoca artistica, persino quando generano dal Sud del Paese europeo più a Sud.

La copertina di Pollution, ritrae la zolla di terra che due mesi prima, era stata calpestata dai bolognesi in una sorta di happening in Piazza Santo Stefano e su cui campeggia un limone, spremuto e violentato, come il mondo asfissiato dai gas della modernità occidentale a cui fa riferimento.

Il progetto “Pollution, per una nuova estetica dell’inquinamento”, in realtà vede Battiato semi-sconosciuto co-protagonista, accanto al grande multiplo d’artista costituito dalle diecimila piastrelle numerate e firmate, prodotte dal brand Iris e disposte sulla piazza. 

Nella copertina interna dell’album in vinile, Battiato si pone a latere, quasi marginalmente rispetto al centro focale della fotografia, in una posa umilmente rispettosa dei musicisti che lo accompagnano e al contempo, rivolge uno sguardo di sfida intellettuale all’ascoltatore, con occhi giovani, sinceramente intrisi di protagonismo nella denuncia dei nefasti effetti dell’inquinamento.

È il Battiato dell’agire, provocatorio e meno placidamente filosofico di quello che il grande pubblico ha conosciuto e apprezzato successivamente.

Ma è nella retrocopertina che si riprende la scena con la provocazione del volto sulla croce cristiana.

L’urgenza del racconto per foto e immagini, sfrutta ogni spazio e persino la inner del vinile, dove forse maggiormente si palesa la mission reale dell’album, riprendendo il regno animale e vegetale oggetto passivo dell’inquinamento antropico.

Insomma, seppur in forma poco omogenea, la necessità di raccontare se stesso e la propria musica, si rivela al di sopra d’ogni convenienza; Franco Battiato produce un album “sconveniente” già al secondo appuntamento della sua lunga carriera e questo particolare non da poco, lo colloca in una posizione pressoché unica nel panorama musicale.

Facile fare pura sperimentazione dopo essersi accreditati artisticamente con una serie di album antecedenti, dal discreto successo; decisamente meno, quando il rischio di un rigetto del pubblico può segnare una carriera sul nascere, non concedendo appelli.

Tuttavia, personalmente, “mi sono fatto persuaso” che ai grandi artisti, è concessa la diluizione del tempo, preclusa ai comuni mortali.

Prima o dopo arriva il momento che “ogni cosa (vada) al suo posto”.

Pollution ha il suo. Oggi, indubitabilmente.

leggi altro articolo sul Prog rock italiano

leggi altro articolo di Carlo Elia