L’album è un concept partorito dalla creativa mente di Alberto Moreno. Nonostante l’impegno della Dischi Ricordi l’album si rivela un insuccesso commerciale, soprattutto a causa dell’errata valenza politica che gli viene attribuita: la copertina dell’album raffigura un inquietante volto umano realizzato con la tecnica del collage su un fondo nero. Tra i vari oggetti inseriti nel collage compare anche un mezzo busto di Mussolini, mentre sul retro copertina figura un braccio con tanto di laccio emostatico e siringa infilata in vena. L’orientamento progressive italiano del tempo, che vedeva la maggior parte dei gruppi dichiaratamente schierata a sinistra, non favorì la promozione del disco. Si aggiunga poi che il tema dell’album ruota attorno all’opera “Così parlò Zarathustra” del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, generalmente frainteso come ispiratore di ideologie totalitarie.
A poco valsero le smentite della casa discografica e degli stessi membri del gruppo, (superficialmente tacciati di fascismo), il Museo Rosenbach venne marginalizzato dai contesti musicali dell’epoca, e persino censurato dalla Rai.

Questo album è uno dei capolavori universalmente riconosciuti del Rock Progressivo Italiano, merita un ascolto.

La lunga suite “zarathustra”, composta da cinque brani per una durata di circa venti minuti, è l’ apertura del concept. “L’ultimo uomo” è il segmento che apre l’album tra suoni solenni ed enfatici e soluzioni di matrice Crimsoniana. L’iniziale rullata ai timpani di Giancarlo Golzi, infatti, sembra rifarsi alla seminale “epitaph” come pure il mellotron e l’hammond di Pit Corradi e i delicati arpeggi di Enzo Merogno. La voce di Stefano Galifi pare provenire da un’altra dimensione, ma poi arriva a graffiare nei versi finali quando il brano esplode in uno dei più alti passaggi sinfonici del progressive italiano.
Hammond, pianoforte e mellotron introducono “il re di ieri”, secondo capitolo dlla suite in cui il Museo riesce a fondere il sinfonismo con le sonorità più oscure del prog Italiano (come il Banco di “darwin”). Un improvviso cambio di scena, scandito dai ritmi sincopati di batteria, mette in luce un vivace scambio tra la chitarra, divisa tra incursioni aggressive e arpeggi delicati, e l’Hammond e il Mellotron. Su tutti risuona la voce di Galifi.
Una zampata ruvida di Merogno apre “aldilà del bene e del male”, brano che approfondisce e amplia le istanze progressive del primissimo Banco ripercorrendo la struttura de “il giardino del mago”.
“Superuomo” è l’episodio più mutevole dei cinque che costituiscono la suite “zarathustra”. L’atmosferica introduzione è giocata tutta sui toni delicati di Hammond e vibrafono, sui quali si erge imperiosa la voce di Galifi. Gli aggressivi riff di Merogno e il corposo basso di Moreno lanciano le svisate d’organo di un Corradi che, (fatti i dovuti distinguo 😀 ) sembra ispirarsi ad Emerson.
Il quinto ed ultimo capitolo, “il Tempio delle clessidre”, ritorna sul tema conclusivo de “l’ultimo uomo” dilatandolo in un’enfatica e solenne coda strumentale.

“Degli uomini” apriva il lato B del vinile. L’iniziale Mellotron prelude al violento attacco dei riff di chitarra che duella con l’ Hammond di Corradi sorretti dalla pirotecnica batteria di Golzi. Grande momento!
“Della natura” si sposta su territori decisamente più Jazz-Rock mettendo in luce la micidiale sezione ritmica, con il basso pulsante e nervoso di Moreno a sottolineare il frenetico drumming di Golzi. L’ingresso della voce addolcisce per qualche istante l’atmosfera prima del nuovo assalto Jazz-Rock. Il continuo avvicendarsi di episodi lirici a passaggi più aggressivi, alla lunga, sfocia in una parentesi vagamente psichedelica con venature Jazz.
Chiude l’album l’altrettanto bella “dell’eterno ritorno”, traccia eclettica che si snoda tra oscure parentesi Crimsoniane e aperture sinfoniche alla ELP, venate da sonorità mediterranee.