Siamo nel 1972 quando viene pubblicato quest’ album sensazionale che viene apprezzato sia dal pubblico che dalla critica. 
Una voce allo stesso tempo ammaliante, psichedelica e caustica, una voce che s’inerpica verso vette sonore altissime, che restituisce modulazioni incredibili, sostenuta, soprattutto nella title track, da atmosfere che ben si fondono con gli sperimentalismi vocali di Sorrenti: è questo l’elemento innovativo di “aria”. È un utilizzo dello strumento vocale mai sentito prima nel nostro paese (Demetrio Stratos arriverà a breve).

La grandezza dell’album non si limita all’impiego di una voce che diventa strumento musicale ma è dovuta anche a degli arrangiamenti straordinari e variopinti realizzati da Albert Prince e Sorrenti e materializzati da musicisti di prim’ordine quali gli stessi Prince (piano, organo Hammond, fisarmonica, mellotron, synth Harp), Tony Esposito (batteria e percussioni) e Vittorio Nazzaro (basso e chitarra solista classica) e Sorrenti stesso alla chitarra acustica. Non solo, all’ insieme contribuiscono un basso con arco), un trombone), una tromba e, ospite speciale nel primo brano, Jean Luc Ponty al violino (tra gli altri ha suonato con Frank Zappa e Mahavishnu Orchestra).
Sono varie le anime che si scorgono nell’opera durante il suo ascolto: il lato A, occupato dalla lunga suite che dà il titolo al disco, è ricco di sperimentazioni sonore e vocali e rappresenta la summa del genio Sorrentiano; il lato B, con i suoi tre brani, spazia dalla dolcezza infinita e l’atmosfera fiabesca di “vorrei incontrarti” agli elementi più cupi e le ulteriori fantasie sonore dei due brani finali. E per far sì che l’album sia a tutti gli effetti un capolavoro, ogni brano è corredato da un testo molto ispirato e poetico che rappresenta la ciliegina sulla torta.

L’ ascolto.
La suite che dà il titolo all’album mi avviluppa fin dai primi secondi grazie a soffici folate di vento e a degli arpeggi magnetici. Quasi ai due minuti, poi, ecco giungere la soave e caleidoscopica voce di Sorrenti. Il suo canto è un fluido che pervade le ossa, uno strumento aggiunto alle sonorità liquide e sognanti che troviamo in queste prime battute. 
L’eccezionalità del brano è data anche dalle continue mutevoli atmosfere create dalle mani fatate dei compagni d’avventura: dai paesaggi onirici e dilatati si passa a quelli più crudi, dove le percussioni di Tony Esposito e soprattutto gli arabeschi sublimi realizzati da Ponty al violino toccano livelli stupefacenti, fino a raggiungere vette Prog, con gli innesti puntuali e fantasiosi di Prince e delle chitarre e con momenti spagnoleggianti. E nel finale, con un Esposito martellante, le chitarre e il violino indemoniati, un Sorrenti invasato chiude questa perla rara.
L’idealizzazione della ricerca della donna amata (Aria), la conquista (fisica) e la paura di perderla (o la realizzazione di averla perduta) è la trama di questa composizione.
“Vorrei incontrarti” si snoda su di un delizioso intreccio di chitarre che descrivono un paesaggio mediterraneo estatico (accentuato più avanti anche dalla fisarmonica di Prince), Sorrenti si lancia in un nuovo canto etereo che s’incastona alla perfezione sulla melodia. Anche qui il testo ammanta ancor più di poesia. Un gioiello senza tempo.
Un testo ermetico e surreale è, invece, quello de “la mia mente”. I vocalizzi lontani che vanno a intrecciarsi con chitarra e basso nei primi secondi, donano un tocco tenebroso al brano. È il canto, poi, a renderlo più arioso, anche se una velatura un po’ scura permane. Grandioso il lavoro free-jazz al piano di Prince che sembra seguire ed assecondare le fantasie vocali di Sorrenti. 
Negli ultimi minuti un gran vortice sonoro a tinte sempre più acide, tra percussioni tribali, una tromba cupa, il piano che continua a volteggiare e gli ultimi vocalizzi di Sorrenti, che sono anticipatori di quelli di Stratos, ci fa capire, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la grandezza dell’artista.
Chiude l’ album “un fiume tranquillo”, brano diviso in due parti. La prima prende il via con momenti altalenanti molto intensi, frammenti in cui il piano classico di Prince e la batteria “prog” di Esposito fungono da sottofondo molto denso per la voce, ed altri più leggeri e quasi cantautorali. E’ un clima piuttosto tetro quello che si respira in questi ultimi momenti dell’album, un mix tra la floydiana “sysyphus pt. 1” e un’atmosfera Krautrock. Anche l’ultimo brano dell’album non poteva non prevedere un testo all’altezza della parte musicale, altro gioiello!

Un lavoro straordinario e innovatore, un segno indelebile nel panorama musicale italiano (non solo progressivo).