Audio Gd di-20 e di-20-he: via maestra verso la connessione I2S
In principio fu curiosità e sperimentazione.
Le prime tracce della rivoluzione digitale “liquida” in campo High End, si perdono nella notte dei tempi ma certamente, a differenza del cd che fu calato dall’alto a spese del vinile, fatto estinguere con strategia scientifica, questa volta, tutto nasce dal basso e si sviluppa viralmente fra gli appassionati, contribuendo all’estinzione ormai prossima del dischetto argentato.
Una supposizione che non faceva una grinza: potessimo estrarre e congelare in un file immutabile il contenuto musicale di un compact disc, senza legarci per la vita all’intervento random del correttore d’errore del Cd Player; potessimo sicché riprodurlo attraverso un Personal Computer inviandolo direttamente al convertitore digitale analogico contenuto nel medesimo Cd Player. Cosa accadrebbe?
Fu presto detto e più o meno fatto. Il resto è storia recente, dal mitico programma d’estrazione EAC (Exact Audio Copy) in cui ogni digitalista si è imbattuto nella fase più critica della propria decisione di “rippare” (estrarre senza perdita di dati) la musica dalla propria discoteca di titoli, passando per la costruzione di una libreria “liquida”, ovvero affrancata dal supporto fisico (CD), integralmente stivata in un hard disk di terabyte sempre crescenti.
Il primo shock difficile da superare più o meno per tutti, è stato sin da subito l’accettazione della doppia apparente contraddizione: (1) nel dominio del digitale una copia è sempre perfettamente uguale a se stessa; (2) quand’anche non lo fosse, come fa la copia a risultare migliore dell’originale?
In realtà, trattasi di un grossolano equivoco terminologico, risolto dalla seguente domanda: chi è copia di chi?
Se il file estratto dal cd lo si considera copia del cd medesimo, si perde di vista che il Compact Disc è solo un supporto fisico nel quale è stato depositato un contenuto musicale in forma numerica (digitale).
In realtà, con l’estrazione (ripping), non facciamo altro che “togliere” dalle mani del perverso sistema di lettura laser quel primigenio file depositato sulla superficie del dischetto argentato, prima che questo diventi “copia riprodotta” (o mal riprodotta), per tentarne una riproduzione più corretta attraverso un altro sistema di lettura costituito da un programma denominato Music Player.
Detto così, sembrerebbe tutto semplice, se non fosse per la successiva osservazione che tutti i Music Player presenti sul mercato a pagamento (Jriver, Audirvana, Hq Player, ecc) o in modalità open source (Foobar, Daphile, ecc.) hanno da subito rivelato una spiccata tendenza a distinguersi fra loro, facendo immediatamente vacillare il concetto di Alta Fedeltà, dacchè non si “potrebbe” teorizzare una fedeltà multipla per definizione stessa.
Anche qui, da comunicatore, mi sento di poter affermare senza tema di smentita, che non esistono player differenti ma …differentemente impostati e che la selva delle molteplici impostazioni di ciascuno, non permetta confronti paritetici se non molto raramente e guardacaso, quando questa circostanza si verifica, diventa difficilissimo scorgere differenze fra Music Player.
In verità, non sono solo le impostazioni di ciascuno a rendere complessa la comparazione ma anche e soprattutto la macchina hardware che li ospita, quasi mai del tutto paritetica nella performance potenziale.
E tuttavia, per non farci mancare proprio nulla, quand’anche si utilizzi lo stesso medesimo hardware, il “peso” dei vari player, inteso come capacità di girare su sistemi operativi più o meno pesanti e in grado di occupare risorse più o meno “voluminose” dell’hardware ospitante, è tale e vario da ingenerare ulteriori differenze nella riproduzione musicale.
Finito dunque con la lista delle problematiche digitali (so bene che state lottando con l’insopprimibile voglia di mettere su un cd e sospendere la lettura di questo fastidiosissimo articolo) ?
Macché. Siamo appena usciti dal Pc e ci dirigiamo verso il DAC (Digital Analog Converter) per ascoltare l’amata sequenza di note; lo facciamo in modo semplice semplice attraverso un cavo USB da stampante “che tanto in digitale gli zeri sono zeri e gli uni sono uni”.
E certo, come no?
Spiacente ma non è esattamente così, per via del fatto che lungo il tragitto, il delicato segnale digitale viaggia in forte contiguità con il cavo d’alimentazione che alimenta a 5 volt l’interfaccia digitale d’ingresso del convertitore (per le interfacce che necessitano dell’alimentazione dalla usb del pc ma passivamente, anche nei casi in cui le suddette si autoalimentino attraverso il dac).
Questa contiguità, capirete facilmente quanto influisca sulla modifica del segnale digitale in un cavo a sua volta immerso in un ambiente pieno di elettroniche (pre, finali, tuner, ecc), fonti emittenti di disturbi EMI (Electro-Magnetic-Interference) e RFI (Radio-Frequence-Interference) dalle quali deve schermarsi.
Al fin giungemmo (forse). La delicatezza estrema della connessione USB, dai più giudicata problematica oltremodo ma, ad oggi, con pochissime alternative valide sul mercato, in termini di standard diffuso sui pc.
Se a questo punto del ragionamento, sentite sia oltremodo irrefrenabile la vostra voglia d rientrare nella “Cd Player Comfort Area”, sappiate che io non ve lo impedirò di certo.
Tuttavia, se avete resistito fin qui nella lettura, appesi alla promessa iniziale contenuta nel titolo dell’articolo, varrebbe la pena restarci ancora un pò; “…alla fine m’assetto papale/mi sbottono e mi leggo ‘o giornale” e se siete stati previggenti, di popcorn dovreste averne ancora qualche manciata belli al caldo nella zona pubica, giusto quelli che servono per comprendere l’ultima rivoluzione High End che va sotto il nome di Intergrated InterChip Sound nell’acronimo I2S.
La I2S, interfaccia bus seriale, in realtà, di nuovo ha ben poco, poiché viene usata sin dalla nascita dei Cd Player e dei Dac esterni per trasmettere dati audio PCM tra circuiti integrati interni.
Ancora una volta, la rivoluzione sembrerebbe venire dal basso e non calata sul mercato dalle aziende, a seguito della lapalissiana osservazione che: se potessimo connettere direttamente la scheda madre di un pc (classico esempio di circuito integrato) ai circuiti integrati del DAC, saltando la connessione USB che costituisce una conversione e riconversione del segnale nel breve lasso intercorrente fra pc e dac, salteremmo a piè pari la problematica della trasmissione dati affetta da jiitter, precedentemente discussa.
Facile a dirsi ma stavolta, sembrerebbe davvero poco interessante per i produttori di pc dotare le schede madri di connessione d’uscita su bus I2S per accontentare un manipolo di “esauriti” come gli audiofili.
Ciononostante, Raspberry Pi Foundation, ha pensato bene di dotare alcune evoluzioni del suo Single Board Computer della preziosa uscita I2S, regalando agli audiofili di mezzo mondo l’ebbrezza di ascolti “jitter free” seppur con alcune limitazioni ancora non risolte, poiché la versatilità estrema di questa mainboard, si scontra ancora con le resistenze degli audiofili più raffinati che necessitano di poter riprodurre file musicali in alta risoluzione pesanti e complessi, spesso appesantiti ulteriormente dall’ulteriore necessità di upsampling verso le “ignote vette” della iper-risoluzione; file che, il relativamente poco potente Raspy, non riesce a riprodurre correttamente senza impuntamenti o generazione di “rumoroso” iperlavoro informatico, deleterio per la naturalezza degli ascolti.
E’ difatti davvero molto difficile comprendere quale sia il “rumore elettrico/digitale” che affligge la riproduzione d’eccellenza, data la strana natura di questo tipo di rumore d’ascolto che, quando c’è, non è percepibile in alcun modo ma quando è assente, è luminosamente chiaro a tutti.
E’ dunque giunto il momento di narrarvi della “luminosa assenza di jitter” che l’interfaccia Audio Gd id-20 e la sua versione Premium HE, apportano alla riproduzione musicale High End, con un peso immediatamente rilevabile in termini di qualità d’ascolto, a mio parere superiore al cambio di categoria rilevabile fra dac della stessa casa (e di altre marche).
Sebbene resti aperta la discussione filologica sulla “verginità” della trasmissione I2S diretta fra pc motherboard e DAC, dalla mia esperienza d’ascolto lunga ormai due mesi, il salto quantico generato dall’interposizione di questa DI (digital interface) è davvero impressionante e degno dell’aggettivo “rivoluzionario”, poiché si manifesta nel parametro principe della riproduzione musicale di elevata qualità: la naturalezza.
Anch’essa risulta di non facile definizione ed estremamente ostica per chi ancora bazzica livelli audiofili mediobassi, ancora alle prese con risonanze ambientali, disomogeneità della risposta in frequenza, tradotta in termini apparentemente positivi quali “bella gamma media”, “bel punch mediobasso” o “generosa gamma bassa”, che sottendono una lontananza siderale dalla naturalezza della riproduzione acustica incorniciata nella famosa definizione del “suono assoluto” del compianto Harry Sala Pearson: “il suono di strumenti acustici reali che suonano in uno spazio reale”, annettendo di fatto, la riproduzione dell’ambienza con i suoi peculiari decadimenti armonici alla tavola imbandita dei “suoni suonati”.
L’attribuzione del salto quantico tendo senz’altro ad attribuirlo alla staffetta fra USB e I2S (che si sviluppa poi fino al DAC attraverso cavo HDMI LDVS connection) poiché anche con altre interfacce nella mia disponibilità, ho rilevato la medesima tendenza alla naturalezza estrema, sconosciuta a qualsiasi connessione diretta via USB. Ciò avviene evidentemente non per mera “giunzione” di cavi ma per lo sviluppo di funzioni complementari a questo bridge quali alimentazione offborad più curata e interposizione di un clock tendenzialmente superiore a quello interno alla scheda d’acquisizione del nostro DAC.
Anche questa “cura” apporta dunque differenze più o meno marcate fra le varie interfacce, ponendo al vertice questa malvagia Audio Gd di-20 fra le interfacce in commercio, pressoché tutte bisognose di ulteriore alimentazione lineare supplementare di qualità.
L’alimentazione è del resto il pallino del maniacale progettista cinese Kingwa, che secondo i rumors deriverebbe dalla sua precedente esperienza in Krell; nonostante io non sia in grado di confermare la bontà dei rumors è certamente sotto gli occhi di chiunque lo sforzo progettuale sull’alimentazione in dotazione a tutti i dac Audio Gd e anche questa interfaccia di-20 non si sottrae alla regola, sfoggiando un grosso alimentatore r-core e una ricchissima circuitazione a discreti che farebbe splendida figura nella vetrina di Tiffany sulla Fifth Avenue of NY.
Appena connessa e settata attraverso il display frontale multifunzione, l’Audio Gd di-20 ha immediatamente trasformato l’assetto della sala d’ascolto principale di Audio Sinapsi, cancellando alla vista le già estremamente residue resistenze della Avalon Radian a scomparire totalmente; ma non solo, ampliando la scena sonora alle spalle dei diffusori in uno spazio eccedente gli stessi e totalmente stratificato in piani frammentati da un nero profondo come il vuoto cosmico.
E’ proprio il nero profondo il principale responsabile della naturalezza della riproduzione che l’interfaccia apporta peraltro sui miei dac (R1, R7 e Master 7 Singularity) già campioni assoluti di nero infrastrumentale e scelti apposta fra altri dac concorrenti come riferimenti sonori di diverso livello nelle tre sale della redazione per le comparazioni d’ascolto necessarie nelle recensioni.
Un ulteriore livello di profondità dello spazio vuoto infrastrumentale, in grado di scontornare con allucinante senso di veridicità ogni strumento acustico sul palco (degli strumenti elettrificati ormai dovrebbe esservi chiaro che non me ne occupo, stante l’inutilità assoluta alla causa della fedeltà), magnificandone ogni specifico timbro.
Il pianoforte assume così una tangibilità live, illuminata da una dinamica del tasto raffinatissima da nero a picco e nuovamente nero, con gli interstizi ricolmi di armonici naturali sospesi e naturalmente calanti come accade in un teatro dall’acustica corretta.
I fiati sono forse gli strumenti che meno si avvantaggiano di questa trasmissione I2S discostandosi relativamente poco dalla performance in USB (o probabilmente sarò io ad apprezzarne meno la differenza), ma ci pensano i legni a solcarne la distanza siderale con un realismo armonico da pelle d’oca.
infine le voci. Sospese ad un’altezza mai raggiunta prima nei miei set up; non certo perché la cantante si elevi dall’orizzonte degli strumenti ma perché il decadimento, ancora una volta naturale della voce, tende a diradarsi nel palcoscenico virtuale verso l’alto, esattamente come accade a teatro nella musica lirica o nei grandi cori sinfonici o come quando (ahimè sempre più raramente) accade, si decida di non fare ricorso ad amplificazioni di supporto nei jazz club.
L’Audio Gd di-20 è peraltro in grado di far brillare meravigliosamente vecchi dac di eccellente progettazione ma privi di ingressi usb, attraverso la sua Spdif out su cavo digitale coassiale, come ho potuto sperimentare sul mio gioiello d’antan Adcom gda 600 dotato di una immarcescibile coppia del più bel chip NOS mai costruito, Burr Brown PCM 63, forse più musicale ancora dei mitici Burr Brown 1704k che dotano in numero di 4 coppie il mio dac di riferimento assoluto Audio Gd Master 7 Singularity.
Deve in ogni caso essere chiaro che, fatte salve le doti di estrema musicalità dei vecchi Top DAC, null’altro li accomuna con moderne macchine, anche entry level, dotate di tecnologia R2R e scheda d’acquisizione USB, ancorché bypassata da oggi, proprio dall’interfaccia oggetto di questo articolo. Null’altro in termini di risoluzione e, a cascata, ambienza, macro e microdettaglio.
Vi starete chiedendo cosa motiva il costo della versione Premium HE (€ 1.096,00) pari quasi al doppio della versione “normale” (€ 590,00).
proverò a rispondervi lapidariamente, poiché non ho intenzione di aprire un altro capitolo circa la non linearità del rapporto fra prezzo e prestazioni in High End.
Cambia tutto ma anche niente. Il vero salto quantico lo si fa con l’interposizione dell’interfaccia Audio Gd fra pc e dac e questo è certo, lampante e davvero impossibile da opinare.
La versione HE della stessa, è tuttavia dotata di una PSU (power Supply Unit) interna, in grado di rigenerare la corrente in ingresso ricostruendo la perfetta sinusoide s spostando la frequenza di lavoro dai canonici 50hz a 400hz, portando eventuale rumore di rete residuale fuori dalla frequenza di lavoro delle altre elettroniche, sottraendosi dunque a un ulteriore velo di sporcizia.
In cosa si traduce questo ulteriore upgrade? In una, se possibile (lo è) ulteriore definizione del microdettaglio e delle famigerate armoniche sospese, sale vero della musica acustica in ambiente reale.
Messe a confronto diretto nelle varie sale della redazione, la tendenza descritta è stata sempre confermata ma ciononostante, non mi sento di caldeggiare per un upgrade dal costo quasi doppio se non in impianti di livello assoluto e che hanno risolto da tempo ogni conflitto con l’ambiente d’ascolto e con la ricerca di un equilibrio alla base di ogni altro possibile upgrade “cost no object”.
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