L’IMPARZIALE – Alla scoperta dei disturbi invisibili della rete 230 V che influenzano il suono

Un sistema audio può cambiare carattere da un giorno all’altro senza motivo apparente. L’origine, spesso invisibile, è nella rete elettrica e nei disturbi RF che interagiscono con le elettroniche. L’IMPARZIALE è uno strumento di misura sviluppato per rendere questi fenomeni finalmente visibili.

Chiunque si occupi di alta fedeltà, prima o poi, si imbatte in un paradosso: un impianto può suonare in modo straordinario in certe giornate e, il giorno dopo, apparire spento, contratto, “piatto”, senza che sia cambiato nulla di apparente.

Spesso la causa non è nell’impianto, ma nell’energia che lo alimenta. La qualità della rete elettrica domestica, i disturbi ad alta frequenza e le interferenze irradiate influenzano direttamente il comportamento dei circuiti audio più sensibili, in modo tanto sottile quanto reale.

Negli ultimi mesi ho condotto una serie di osservazioni mirate proprio su questo aspetto, sviluppando un dispositivo di misura dedicato — l’IMPARZIALE — progettato per visualizzare e analizzare le perturbazioni presenti sulla rete a 230 V.

Lo strumento consente di distinguere le componenti di modo comune e differenziale dei disturbi, rendendo possibile una valutazione diretta dell’efficacia dei sistemi di filtraggio e delle condizioni elettriche reali che influenzano le apparecchiature audio. 
Lo scopo era capire la natura dei disturbi e come interagiscono con i nostri sistemi audio.

Disturbi onnipresenti, anche quando non si vedono

Le prime misure con l’IMPARZIALE hanno mostrato un quadro inequivocabile: disturbi sempre presenti, anche in ambienti domestici “tranquilli”. Si tratta di una miscela di interferenze condotte e irradiate, con intensità e frequenze variabili nel tempo, che trovano nella rete elettrica il loro veicolo ideale.

Le fonti sono molteplici:

  • alimentatori switching (presenti in ogni dispositivo moderno),
  • router, lampade LED, inverter, elettrodomestici,
  • e, soprattutto, campi RF irradiati da Wi-Fi, telefonia e dispositivi wireless.

Queste componenti ad altissima frequenza non restano confinate ai cavi di alimentazione: si accoppiano ai telai metallici delle apparecchiature, alle masse di riferimento e — per via capacitiva o induttiva — penetrano nei circuiti audio, alterando i potenziali di polarizzazione e i riferimenti interni.

Il risultato? Variazioni di pochi millivolt che, negli stadi a bassa tensione o negli ingressi ad alta impedenza, diventano modulazioni percepibili come perdita di naturalezza, microdinamica e trasparenza.

Quando le alte frequenze “sporcano” le basse

Un fenomeno particolarmente interessante emerso dalle osservazioni è la traslazione di disturbi ad alta frequenza nella banda audio.

In pratica, i segnali RF intensi (provenienti da router, telefoni o switching) interagiscono con la non linearità dei circuiti di alimentazione, generando prodotti di intermodulazione a frequenze molto più basse — spesso sotto i pochi kHz. (Fig, 1)

Fig.1: Analisi del contenuto spettrale dei disturbi che compaiono in rete a  frequenza sub kHz in presenza di forti emissioni a RF.

In altri termini, ciò che nasce come un disturbo a megahertz può trasformarsi in una modulazione a pochi kilohertz, direttamente udibile come rumore o perdita di trasparenza.

Le apparecchiature elettroniche reali non sono perfettamente lineari. Quando segnali RF di ampiezza elevata si accoppiano a punti sensibili — ad esempio stadi di alimentazione, giunzioni semiconduttrici o dispositivi di commutazione — essi interagiscono con le frequenze di lavoro del circuito (tipicamente da decine a centinaia di kHz).

Il risultato è un processo di intermodulazione non lineare, che genera nuove componenti di frequenza pari alla somma e alla differenza dei segnali originari.
Le differenze di frequenza possono cadere nell’intervallo sub-kHz o addirittura audio, rendendo visibili nello spettro componenti “lente” che in realtà derivano da interazioni tra disturbi ad alta frequenza.

Questi sottoprodotti — di natura impulsiva o modulata — si propagano poi lungo la rete di alimentazione e si accoppiano ai riferimenti di massa dei circuiti audio, dove producono micro-variazioni di tensione percepibili come instabilità o perdita di coerenza timbrica.

Ridurre i disturbi RF a monte — con filtri, ferriti, schermature o cablaggi razionali — significa dunque anche pulire la banda audio, perché le basse frequenze indesiderate nascono proprio lì, dall’intermodulazione.

Metodo sperimentale e risultati

Per rendere visibile ciò che normalmente resta nascosto, ho condotto un test comparativo con l’IMPARZIALE, un amplificatore di potenza, un carico fittizio e un generatore di rumore.

1. Condizione di partenza: rete 230 V “pulita”, con solo un leggero rumore di fondo, rilevata tramite un comune cavo da PC. ( Fig. 2 )

2. Accensione del generatore di disturbi: un alimentatore switching introduce pacchetti impulsivi e crescita del rumore di modo comune. ( Fig. 3 )

3. Amplificatore alimentato senza filtraggio: la sinusoide del segnale audio mostra piccole deformazioni e transienti casuali. ( Fig. 4 )

4. Con switching attivo: compaiono spike ripetitivi e modulazioni — chiare tracce di intermodulazione tra le RF e la sezione di alimentazione. ( Fig. 5 )

5. Con sistema di mitigazione installato: il segnale torna stabile e regolare; i transienti spariscono, il rumore cala sensibilmente. ( Fig. 6 )

Le osservazioni visive coincidono perfettamente con le impressioni soggettive: quando l’IMPARZIALE mostra un rumore più basso, il suono risulta più naturale, rilassato e coerente.

Fig. 2 Condizione di partenza: rete 230 V “pulita”, con solo un leggero rumore di fondo, rilevata tramite un comune cavo da PC.
Fig. 3: accensione di un generatore di disturbi (alimentatore switching collegato alla stessa multipresa). Compaiono pacchetti impulsivi e una crescita del rumore di modo comune, coerente con le tipiche emissioni EMI degli switching economici.
Fig.4: Segnale sinusoidale a valle dell’amplificatore di potenza, alimentato dalla rete “normale”.
Sono visibili piccole deformazioni del fronte d’onda e un leggero rumore sovrapposto, segno che parte del disturbo condotto raggiunge effettivamente lo stadio di potenza.
Fig.5: Generatore di rumore attivo durante l’amplificazione. La distorsione diventa evidente: si notano spike ripetitivi e modulazioni casuali del segnale, perfettamente coerenti con quanto osservato sull’IMPARZIALE. Queste componenti non appartengono al segnale audio ma sono intermodulazioni tra i disturbi RF (originati dagli switching o dalle reti domestiche) e la sezione di alimentazione dell’amplificatore. La loro presenza altera istantaneamente i punti di polarizzazione dei transistor o MOSFET, causando microvariazioni di guadagno e di fase che si traducono, all’ascolto, in:
– un peggioramento della microdinamica,
– perdita di “fuoco” nella scena sonora,
– sensazione di asprezza o confusione nelle alte frequenze
Fig 6: L’amplificatore alimentato tramite il sistema di mitigazione sperimentale.
Il segnale torna a essere regolare e simmetrico, con un netto abbattimento dei transienti: la prestazione si riavvicina alla condizione iniziale “pulita”.
All’ascolto il suono risulta più stabile, morbido, coerente e naturale, segno che il sistema di mitigazione ha agito efficacemente sui disturbi di modo comune e differenziale.
Nota: Il segnale che si osserva è volutamente mostrato in modalità “Rileva Picco”, che enfatizza tutti i transitori anche minimi e fornisce un’indicazione visiva della presenza di disturbi a radiofrequenza sovrapposti alla componente utile.
Non si tratta quindi di una sinusoide “sporca” in senso elettrico, ma di una rappresentazione estremamente sensibile usata per evidenziare i disturbi residui sul segnale amplificato. In modalità RMS o media mobile la forma d’onda risulta infatti regolare.
L’obiettivo del test non era la misura di ampiezza o distorsione armonica classica, ma la rilevazione qualitativa del contenuto spettrale spurio indotto dalle interferenze RF.
È questo contenuto, apparentemente marginale, che può indurre modulazioni e variazioni dinamiche percepibili all’ascolto.
È una tecnica di osservazione più simile alla fotografia a lunga esposizione che alla misura RMS:
serve a far emergere ciò che normalmente resta sotto la soglia di percezione.

Le due immagini seguenti mostrano la stessa misura con scala ampliata a 2,5 Vpp, utile a evidenziare l’ampiezza reale dei disturbi.

Fig 7: in questo caso abbiamo una frequenza di circa 3900 Hz, 2,5V pp con il generatore di rumore acceso.
Si può notare come la sinusoide sia cavalcata dal disturbo.
Fig. 8: lo stesso segnale ma con l’amplificatore supportato dal filtro sperimentale. il disturbo viene soppresso.

L’importanza della messa a terra “intelligente”

Un tema cruciale emerso dallo studio riguarda la terra di protezione. Le soluzioni di messa a terra tradizionali drenano le correnti di equalizzazione ma non impedisco la trasmissione bidirezionale dei disturbi. Una buona progettazione deve quindi garantire la sicurezza elettrica ma limitare il ritorno di RF e spurie verso i circuiti audio.

In questa direzione si inseriscono i miei sistemi di mitigazione a stadi multipli: La somma di questi interventi, più che il singolo elemento, è ciò che determina il risultato finale.

Riscontri d’ascolto

Dopo l’ultima ottimizzazione, il livello di disturbi nella mia sala audio è sceso sensibilmente. Al punto da poter rilevare solo microeventi transitori — probabilmente dovuti alle commutazioni dei diodi nell’alimentatore destinato ai ventilatori del finale — del tutto inudibili, ma documentabili.

Fig. 9: Micro eventi residui sulla rete della mia sala di ascolto dopo gli interventi di mitigazione con filtri sperimentali. Rimangono solo questi fenomeni che si manifestano attivando un alimentatore lineare impiegato in una funzione accessoria.

Fig. 10: disturbi presenti di base sulla rete a 230V della mia sala di ascolto determinata dalla presenza di un fortissimo campo a RF generato da una stazione di radiotelefonia situata a poche decine di metri da casa mia.

Nel setup attuale ho utilizzato, volutamente, componenti economici — due “ciabatte cinesi” e cavi standard da PC sulle apparecchiature a basso assorbimento — per dimostrare che, una volta sistemata la base elettrica, il costo dei cavi ha un peso marginale rispetto alla coerenza del sistema.

È un punto che merita una riflessione: nel mondo dell’audio di alta gamma, l’attenzione verso i cavi di alimentazione si è spesso spinta oltre la ragionevolezza, assumendo tratti quasi simbolici. Tuttavia, le misure mostrano con chiarezza che la reale efficacia di un cablaggio non dipende dal prezzo o dal prestigio del marchio, ma dal contesto elettrico in cui opera.

Un cavo, anche molto costoso, non può risolvere problemi che nascono nella rete o nelle messe a terra; al contrario, un sistema elettricamente equilibrato consente a qualunque buon conduttore di lavorare al meglio.

In altre parole, la vera differenza non è tra “cavi costosi” e “cavi economici”, ma tra impianti rumorosi e impianti silenziosi. Ciò che conta è la coerenza elettrica del sistema e la riduzione dei percorsi di rientro dei disturbi.

All’ascolto, la differenza è netta: maggiore naturalezza, scena più stabile e tridimensionale, assenza di fatica nelle alte frequenze.

Nel brano Luna in piena di Nada, ad esempio, la voce — notoriamente difficile da riprodurre — è diventata stabile e potente, ma non più aggressiva.

Non è magia: è riduzione del rumore di fondo dinamico, quel continuo microfluttuare dei potenziali che altera la coerenza sonora.

È giusto aggiungere una considerazione: i cavi di alimentazione possono effettivamente modificare il risultato sonoro di un impianto.

Negarlo in modo assoluto sarebbe scorretto, perché l’esperienza di molti ascoltatori mostra che differenze udibili esistono oltretutto sono pure misurabili con l’IMPARZIALE.

Tuttavia l’errore più comune è attribuire queste variazioni a proprietà “misteriose” del cavo invece che alla sua interazione con l’ambiente elettrico e con i disturbi presenti sulla rete. Se un fenomeno è percepito, deve avere una causa fisica: il punto è individuarla correttamente.

In assenza di una base elettrica coerente, l’audiofilo rimane intrappolato in un ciclo di continua ricerca — entusiasmi momentanei seguiti da nuove delusioni — perché cerca di correggere, con un cavo, ciò che in realtà nasce a monte. Solo comprendendo e gestendo i disturbi della rete è possibile stabilire un terreno stabile su cui le differenze tra i cavi assumono un significato reale e ripetibile.

Conclusioni

L’esperienza con l’IMPARZIALE dimostra che la qualità della corrente non si misura solo in volt, ma anche in silenzio elettrico. Questo “silenzio invisibile” è parte integrante della qualità sonora di un impianto di alto livello.

In un mondo in cui ogni casa è ormai un campo elettromagnetico diffuso, la vera sfida dell’audiofilia moderna non è più solo costruire buoni amplificatori o diffusori, ma preservare la purezza del segnale in un ambiente elettricamente rumoroso.

Conoscere, misurare e comprendere i disturbi è il primo passo per imparare a dominarli. E forse — prima di cambiare ancora un cavo — vale la pena guardare cosa scorre davvero dentro di esso.

Fig. 11: L’IMPARZIALE