Il loro quinto album in studio è una delle opere più ambiziose del Rock Progressivo italiano.
Un concept album unitario e in linea con il percorso musicale già avviato l’anno precedente con “uomo di pezza” difatti presentano le prime bozze delle composizioni già nelle date del tour di supporto a Peter Hammill del dicembre 1972.
Proprio ad Hammill Aldo Tagliapietra confessa di voler narrare la storia di due pianeti contrapposti ma complementari che gravitano nello stesso cosmo ma divisi dalla luce: uno è radioso, l’altro buio. Dei due pianeti Tagliapietra ha già il nome del primo: Felona, da felice. A dare il nome al secondo pianeta è proprio Hammill, che suggerisce Sorona, dall’inglese “sorrow” (dispiacere).
Secondo quanto affermato dallo stesso Tagliapietra, il concept vuole essere una sorta di metafora volta a confermare che le cose o stanno da una parte o dall’altra. Infatti la storia narra di un pianeta triste e di uno felice perché custodito da un’entità divina. Quando l’Essere Supremo si adopera per portare felicità anche a Sorona, ecco che Felona, il pianeta felice, piomba nel buio e nella disperazione. Dietro l’allegorica trama fantascientifica, dunque, si cela un’opera dalla forte natura spirituale, come più volte confermato dallo stesso Pagliuca, principale autore dei testi de Le Orme.

All’epoca la Phonogram si accordò con la Charisma pianificando la registrazione di Felona e Sorona in lingua inglese. Per la scrittura dei testi Le Orme si affidarono a Peter Hammill e l’ album, seppur non riscosse il successo auspicato, permise alla band di allestire un tour teatrale britannico di due settimane nel novembre del 1973 che si concluse con il concerto al Marquee di Londra.

Il lungo capitolo di apertura, “sospesi nell’ incredibile”, ci consegna una band ormai matura e coesa, nella quale ogni membro svolge il proprio ruolo con precisione e impegno mai così convincenti. L’attacco è il semplice preludio di una lunga fuga che vede protagonisti tastiere, organi e minimoog. Per l’occasione Tony Pagliuca è coadiuvato alle tastiere dall’ottimo Gian Piero Reverberi (che possiamo considerare il quarto membro del gruppo anche se non ufficialmente) che qui ha il triplice ruolo di musicista, produttore e consulente musicale a cui va il merito di aver concepito una fuga a quattro voci. Il pirotecnico drumming di Michi Dei Rossi, con le sue innumerevoli variazioni ritmiche, tiene insieme non solo questa composizione ma l’intero album. A narrarci la storia dei due pianeti, fratelli ma diversi, è l’inconfondibile voce di Tagliapietra.
Ad un primo segmento, morbido ed emozionale, segue una seconda parte, strumentale e più sperimentale, nella quale emerge sornione il basso di Tagliapietra tra i suoni spaziali di Pagliuca, che, a loro volta, materializzano il cosmo in cui gravitano i due pianeti.
Le campane di Miki Dei Rossi ci accolgono nel luminoso e trasparente paesaggio di “felona”. La chitarra acustica di Tagliapietra enfatizza il testo gioioso rendendo l’atmosfera pacifica e colma d’amore. Pagliuca interviene in rarissime occasioni con brevi incursioni al minimoog mentre Dei Rossi dà ampio sfogo al suo ricco campionario percussivo e rumorista.
I versi di “la solitudine di chi protegge il mondo” raccolgono l’amara delusione dell’Essere Supremo (il Creatore) che osserva il pianeta triste e svelano la natura spirituale dell’opera che si palesa ancor più nel brano successivo, “l’ equilibrio”. Quando egli fa ruotare il suo sguardo-luce i pianeti fratelli si trovano entrambi innaffiati della potenza suprema di luce, amore e vita. Entrambi felici. Ma il precario equilibrio dura lo spazio di un sorriso e si infrange e svanisce col magico incantesimo…
L’atmosfera tetra e spettrale di “sorona” prende forma nei suoni cupi e funerei delle tastiere di Pagliuca e nel tremolante arpeggio alla chitarra elettrica di Tagliapietra. I versi crepuscolari e l’andatura compassata, priva di ritmo, accrescono il peso dell’angoscia che grava sull’oscuro pianeta… E’ un lungo momento di “attesa inerte” (titolo del sesto brano).
Il suono degli archi della tastiera delinea lo stato di perenne attesa in cui vive l’umanità di Sorona. Suoni alienanti e minacciosi si stratificano su una ritmica incalzante, nervosa, pulsante, cui fa da contraltare il sottile canto di Tagliapietra. La tensione si stempera solo nel finale, quando l’evento a lungo atteso si concretizza con “ritratto di un mattino”: Il lento e progressivo arrivo della luce su Sorona viene salutato con un crescendo sonoro che, lasciandosi alle spalle la tristezza di un tempo, trionfa nella luminosa esplosione sinfonica di Pagliuca, nell’apprezzabile solo di Tagliapietra alla chitarra elettrica e nelle festose campane di Dei Rossi.
In “all’infuori del tempo” la spensierata positività della chitarra acustica e dell’organo simboleggiano l’inizio di una nuova vita per i due mondi. Ma proprio mentre Sorona esulta per l’arrivo della luce, ecco che Felona avvia il suo declino verso l’oscurità. Il fragile equilibrio luce/ombra si rompe e Felona piomba nella cupezza sonora che prima caratterizzava Sorona. La definitiva rottura dell’equilibrio tra i due pianeti produce un imprevedibile caos cosmico che li annienta entrambi. Il cerchio si chiude in un nuovo “ritorno al nulla”, confermando l’eterna alternanza di oscurità e luce, morte e rinascita. Il magma sonoro si ingrossa in un crescendo strumentale che assume toni apocalittici, distruttivi, fino alla cavalcata che prelude la deflagrazione finale.