Capita di lasciarsi passare per le mani un oggetto non facilmente catalogabile e rimanerne interdetti.
Raramente ho rimpianto un integrato quanto questo Audiomat Arpège, transitato per la mia sala d’ascolto domestica in un periodo in cui ero focalizzato su altro; la sua morbida gentilezza ha assunto nel tempo contorni indimenticabili nella mia mente, facendo categoria a sé, rispetto a tutto il resto.

Era il 2012 e l’occhio cadde su uno scaffale di un piccolo negozio della mia zona. Esteticamente affascinante, in una livrea nera il cui frontale, lasciava trasparire il colore ambra delle valvole, attraverso una finestra in perspex fumè che a macchina spenta non lascia presagire la sorpresa. Ebbi modo di provarlo in casa per 15 giorni con le mie Chario Sonnet, diffusori facili da pilotare e schietti nel restituire la personalità dell’amplificazione a monte. Il suono, morbido e seducente, a tratti burroso, non fece breccia nella mia mente, focalizzata su altri parametri d’ascolto in quella stagione di cambiamenti che fu per me, il biennio 2012/2013; ma l’Arpège seppe insinuarsi nelle pieghe della mia “componente romantica”, maturando pian piano e in sordina, la consapevolezza di un suono assai diverso dalla norma, moderatamente dinamico ma gentile e vellutato, in grado di generare un clima di rilassatezza estrema, fortemente meditativa, ideale per ascolti rilassati durante la lettura.

Con l’Audiomat Arpège, trascorsi 15 giorni di riconciliazione con la musica, soprassedendo ad ogni tentativo di analisi “visiva” della scena acustica. Le EL 34 al suo interno, furono in grado di portarmi dentro le pieghe del jazz con la più alta espressione di “smoothness” ma ebbi il dubbio che l’accentuato roll-off, alla lunga, avrebbe pesato sui miei soliti ascolti, di norma molto vividi, materici e “visuali”. Nel mentre decidevo di tenerlo, la telefonata del negozio che gentilmente me lo aveva lasciato in prova, mi annunciò che era stato venduto a un appassionato francese a cui non sembrò vero di aver trovato un pezzo così raro sul mercato dell’usato, ad un prezzo accettabilissimo (circa 1.200 euro).
L’Arpège abbandonò la mia casa, lasciandomi in eredità la consapevolezza lucida che non esiste il miglior suono ma il miglior matching e la miglior rappresentazione dell’emozione in funzione dei momenti topici in cui si ascolta, degli stati d’animo con cui ci si siede all’ascolto e dell’approccio emozionale con cui lo si fa.
Nel tempo, mi sono ritrovato a pensare spesso se a distanza di anni, quell’esperienza avrebbe tutt’oggi la stessa valenza (e non è detto l’abbia ancora; in quasi un decennio cambiano tante cose nella personale visione della musica), ma è una scommessa che sarei pronto a ripetere semmai un Arpège ripassasse dalle mie parti. Non si vive di rimpianti …ma anche si.

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