Trent’anni trascorsi insieme alle Sonus Faber Extrema.
Un omaggio personale e colmo di affetto ai diffusori che hanno lasciato un segno nel mondo audio.

Per motivi di lavoro, primi mesi del ‘93 (ero a quel tempo un giovane di 43 anni un po’ incosciente), trascorsi circa un mese a Philadelphia (USA).

Approfittavo dei fine settimana per visitare sale di rivenditori audio, cercare dischi usati ed ebbi anche occasione di assistere a un Audio Show. 

Durante la visita allo show trascorsi svariate ore nella sala del distributore Sonus Faber e lì, per la prima volta, vidi ed ascoltai le Sonus Faber Extrema pilotate da due monoblock a valvole VTL 225W con preamplificatore a valvole VTL.

La mia attenzione fu attirata da un impianto presente in una seconda sala. Magneplanar Tympani con due monoblock VTL, il modello 300W con le 6550; con le EL 34, invece, il 225W. Trascorsi il pomeriggio ad ascoltare le Maggy, un’esperienza che lasciò su di me un segno indelebile.

Tutti però parlavano delle Extrema. Come erano belle e come suonavano bene. Rimasi sorpreso ma non particolarmente impressionato.

A quel tempo il mio impianto audio domestico consisteva in un giradischi Pink Triangle con braccio SME IV e testina MC Spectral Reference; preamplificatore Audio Research SP 14 e diffusori Infinity RS II b.

Come finali di potenza usavo una coppia di Sonic Frontiers SFS 80 stereo, in biamplificazione passiva verticale, che alternavo con una biamplificazione passiva orizzontale composta  da un solo SFS 80 stereo per i nastri dipolo medi e acuti delle Infinity e un Sansui stereo  B2101 per i bassi.

Il livello dei bassi poteva essere corretto e adeguato a quello dei medio-alti tramite due potenziometri presenti in uscita sul Sansui.

Inoltre il ” Bass  Contour Controller “, una regolazione della risposta in frequenza delle basse di cui le Infinity erano dotate, permettevano un intervento ottimale per un suono adeguato alla sala d’ascolto.

Ero soddisfatto, mi divertivo a cambiare set up ma il tarlo dell’audiofilo si faceva strada in me e immaginavo qualche cambiamento in meglio per alzare il livello qualitativo dell’impianto. Sapete bene di cosa parlo.

Uscendo dallo show mi procurai una copia della rivista audio Stereophile dove, sul numero del mese, recensivano proprio le Sonus Faber Extrema.

Leggendo la recensione rimasi colpito. Il recensore inglese, tale Martin Colloms, era parco di giudizi sul suono e la disamina, come spesso succede a mr. Colloms, e la recensione era incentrata sull’aspetto tecnico. Avrei preferito una recensione più istintiva e meno razionale ma dovetti accontentarmi.
Coerenza, trasparenza, musicalità erano le lodi che comunque venivano ripetutamente usate.

Al rientro in Italia lessi naturalmente altre recensioni in particolare quella chilometrica e informatissima di Suono, n. 41 del Giugno 1992 a cura di Mancianti e Macchelli

La  cosa che mi colpì leggendo le diverse recensioni  fu l’opinione concorde circa la loro correttezza timbrica, la capacità di dare il meglio con diversi  generi musicali, la trasparenza  (furono paragonate al timbro tipico delle elettrostatiche come Quad ESL 63) e la capacità dinamica confrontata e celebrata fianco a fianco con le – allora quotatissime – Wilson Watt complete della sezione bassi “Puppy”.

Fu rimarcato il fatto che le Extrema pur senza i due woofer “Puppy” delle Watt, scendevano in basso con una estensione e un punch notevole per un trasduttore da stand. Il woofer posteriore ovale Kef B 139 attivo con compiti di altoparlante passivo compiva il miracolo.

Ma …c’era un “ma”. La fame di watt di potenza che le caratterizza. Causa una particolare costruzione del cross-over oramai è luogo comune che occorra molta potenza per ottenere il meglio.

A causa di un’intuizione del tutto nuova nel considerare il filtro passa-alto del cross-over, si sacrifica una porzione di potenza del finale a scapito della efficienza e si studia un nuovo crossover senza l’uso di condensatori.

In teoria pochi watts sono in gioco, in pratica questo fu lo stigma che perseguitò il progetto delle Extrema negli anni a venire. La notevole fame di potenza.

Ken Kessler su HFNRR soffiò sul fuoco quando recensì e provò gli altoparlanti con un finale a valvole OTL Graaf GM 200 da 200 watt. Disse che il suono era magico ma che due GM 200 in biamplificazione avrebbero giovato al risultato ottimale.

Al rientro dagli USA contattai il rivenditore di Bologna e mi disse che ne aveva un paio disponibile fornite degli stands di serie Target Audio a sei colonne pesantissimi (40 kg).
Andai a provarle pilotate da un Classe Audio DR 3 in classe A opportunamente riscaldato e subito fu amore. Permutai le Infinity RS IIb, ci aggiunsi quattro milioni di lire  (le SF costavano di listino  nel 1993 otto milioni e mezzo di lire) e le portai via con me.

Nel mio ambiente le SF non diedero particolari problemi di posizionamento. Seguendo all’inizio la “Regola dei Terzi” trovai subito un punto della stanza ottimale che ebbe in seguito bisogno di piccolissime correzioni.

Lontane dalle pareti di fondo circa 1 metro e 20 cm, 90 cm dalle pareti laterali, un leggero toe-in e distanti tra loro poco più di due metri. Il risultato fu più che soddisfacente. 

Circa l’amplificazione, provai con i due finali Sonic Frontiers SFS 80 in biamplificazione passiva verticale.
Ma anche abbinando il finale a stato solido Sansui 2101 per le basse frequenze e un solo Sonic Frontiers per le alte in biamplificazione passiva orizzontale. 

Regolando l’emissione del Sansui per eguagliare i livelli d’uscita, il risultato era soddisfacente ma il suono aveva una grana meno fine rispetto ai soli SFS in verticale.
I midranges pilotati dal Sansui sicuramente un po’ ne soffrivano.

Per quanto concerne la fame di potenza, a causa dell’ambiente non grande (circa 16 metri quadri) e l’ascolto in “near-field” – che trovai subito ideale per i programmi musicali da me prediletti – non mi accorsi di nulla. 

E così trascorsi diversi anni con la new entry Extrema mentre il resto rimase immutato.  Come a tutti voi, anche a me piace provare componenti nuovi, accessori o cavi ma quando si tratta di componenti chiave ci vado cauto.

Solo a metà degli anni ’80 provai a sostituire i dischi in vinile e il giradischi con il suono digitale del CD. 
Provai per diverse settimane due CD players molto in voga a quei tempi, il Meridian e il California Audiolab. Lasciai subito perdere.

Seguivo sulle riviste recensioni e dibattiti tra audiofili che proclamavano il bisogno di dover usare finali a stato solido da 600 watt per poter cavare il meglio dalle Extrema.

Forse – mi dissi – in ambienti molto grandi, con programmi musicali tipo rock live, ma proprio non capivo tali dichiarazioni.

Gli anni passano e arriviamo al terzo millennio. Intanto l’impianto si è evoluto. Entrano il giradischi Godmund Studio con braccio TF 4 servocontrollato, un pre-phono Manley Steelhead prima serie comprato in Thailandia ex demo e una idea pazza si fa strada.

Un amico pazzoide (ne esistono molti in questo nostro mondo) mi disse che voleva disfarsi di due monoblock Krell KMA 200, 200 watt in classe A.
Krell era una garanzia e per un prezzo molto conveniente li acquistai dando in permuta il Sansui B 2101, accessori, dischi e aggiungendo l’importo mancante.

Non li portai a casa ma direttamente a Modena nel laboratorio Graaf per farli esaminare.  Il prezzo pagato mi suggeriva che un controllo era d’obbligo.

I Krell erano a posto e rispondevano alle misure. Solo un relè per il ritardo in accensione di uno dei due finali fu cambiato.

Il suono con i due Krelloni mi colpì non solo per la maggiore potenza ma anche per la capacità di estrarre ogni sfumatura e informazioni fino allora nascoste del messaggio musicale.

Nella mia ingenuità credevo che tale capacità fosse dovuta in maggior parte a un preamplificatore di alta gamma o a un pick up particolarmente raffinato.

Inoltre la capacità di pilotaggio faceva letteralmente risplendere le basse e medie frequenze.

Il problema era la gestione dei due finali. Dovetti chiedere a Enel il passaggio da 3 a 6 kilowatt; il calore che producevano era imbarazzante e gli importi in bolletta pure. 
Feci anche in modo di avere una linea dedicata solo per l’impianto audio portando un cavo di alimentazione (di notevole sezione e schermato a dovere) dalla cassetta di derivazione alla multipresa della sala audio.

I Krell suonavano e non occorrevano i caloriferi. Nella sala audio era sempre estate.

Li usai per circa tre anni e li rivendetti senza problemi facendomi convincere da amici thailandesi (negli anni per motivi di lavoro ho trascorso molto tempo in quel paese) fanatici delle valvole e costruttori di elettroniche ad acquistare due monoblock a valvole da 160 watt (166 watt misurati nel laboratorio Graaf di Modena).

8 valvole KT 90 EI di quelle buone in push pull per ciascuno dei monoblock. Li ascoltai a lungo a Bangkok in diverse configurazioni e con svariati altoparlanti. Erano prodotti artigianali
bensuonanti e belli a vedersi e costavano una cifra modesta. Spesi più di Fed Ex per farli arrivare in Italia che di costo effettivo. 
Le 16 valvole KT 90 EI le portai io nel bagaglio a mano in aereo.

Sono stati i compagni delle Extrema fino a quattro anni fa sostituiti da un finale Audio Research D300 a stato solido. Un’ occasione particolarmente favorevole mi permise di valutare l’acquisto di una coppia di due AR D300. Li provai a casa per diversi giorni. Uno solo in stereo e due in biamplificazione passiva verticale.
La differenza era minima, quasi inavvertibile e optai per uno solo.

Intanto hanno trovato posto nell’impianto altri giradischi e bracci   per soddisfare la mia mania di riproduzione analogica.
Un Nottingham Hyperspace “custom made” con tre basi per eventuali tre bracci e un Technics SP15 con il suo braccio EPA A 250.

La convivenza con le Extrema è stata messa a rischio solo una volta per un breve periodo. Ho avuto l’occasione di avere in casa una coppia di Tannoy Legacy Cheviot. Per la musica che prediligo (classica e jazz acustico) le Tannoy sono state una rivelazione.

La coerenza, la facilità di emissione e la timbrica mi hanno colpito e tentato ma poi ho lasciato stare.

Aggiungo che le Sonus Faber Extrema sono state, oltre che compagne per stupendi viaggi musicali, anche oggetti che hanno contribuito alla mia “formazione” audiofila. 

Devo a loro la comprensione e giusta valutazione di aspetti come la correzione acustica dell’ambiente d’ascolto, il range dinamico del segnale inciso su disco, l’importanza di uno step-up per testine MC a bassa uscita ( sono arrivato alle conclusioni che qualsiasi pick up sotto i 0.25 mv di uscita necessita sempre e comunque di uno step up, non importa quanto sia il guadagno in db dell’ingresso phono MC), l’importanza del giusto carico in ohm da abbinare alla testina, sia MM che MC.

Ma anche l’importanza di eliminare le prime riflessioni laterali dei tweeters – corrette con l’antico ma sempre valido sistema dello specchietto, l’importanza della posizione d’ascolto ideale e la giusta valutazione di parametri cari agli audiofili come scena sonora, 3D, trasparenza e correttezza timbrica.
Non ultima la capacità di giudicare un’incisione analogica in particolare di musica classica. 

Ci si rende conto ancora di più di come sia una pia illusione provare a riprodurre l’evento reale di musica (voci incluse) ascoltata non amplificata negli ambienti preposti. Alle volte (poche) ci si avvicina in modo sorprendente ed è una festa.

Qui di seguito descrivo la composizione del mio impianto audio.

Aggiungo che ascolto solo dischi in vinile. Faccio uso di suono digitale solo per la tv e per divertirmi su youtube.

I componenti sono datati (come d’altra parte lo sono io) ma fanno parte di quella che per me è stata l’epoca d’oro dell’HiFi. A ben guardare alcuni di loro sono vecchi di 40 anni (Krell PAM1) e solo il Manley Steelhead prima serie (senza ingresso linea) dei primi anni 2000 è un giovanotto di 20 anni.

La decantata tecnica costruttiva e l’implementazione degli osannati trasduttori usati nelle SF Extrema qui non vengono prese in considerazione. In rete troverete descrizioni accurate e analisi approfondite comprese le misure delle caratteristiche tecniche.

GIRADISCHI 1
Nottingham Hyperspace con tre bracci.
Braccio a) Ortofon AS 212 (9″ ) per testine MC
Braccio b) Shure 3009 SII ( 9″) per testine MM 
Braccio c ) Nottingham “The Foot” (12″) per testine monofoniche.

GIRADISCHI 2
Technics SP 15 con bracci  
EPA A 250 (testine MC) e EPA A 501H (testine MC e MM).

CAVI PHONO
Per Nottingham, Van den Hul D 502.
Per Technics, il suo di serie.

TESTINE MM, MI
Shure V15 III MR, Soundsmith Boheme,  Soundsmith Zephyr MIMC Star, Audiotechnica 155 LC, Technics C 100 MK 3, Stanton 981HS

TESTINE MC
Zyx Airy 1000 SH, Ortofon SPU Classic, Ortofon MC 30 prima serie (0.07 mv) , Monster Cable Genesis Alfa 1000, Miyajima Lab. Shilabe.

TESTINE MONOFONICHE
Denon DL 102, Miyajima Lab.Zero

PREAMPLIFICATORI
Krell PAM1 (MM & MC)
Manley Steelhead (MM & MC)
Prototipo Aurion Audio MM 14 (solo MM).

CAVI SEGNALE
Audioquest Diamond.
Goertz Alpha Core Sapphire Siver

CAVI ALTOPARLANTI
Cardas Exlink Golden 5C 
Goertz Alpha Core AG 3 Divinity.

TRASFORMATORI STEP UP
Ortofon T 30.
Dynavector DV-6X.

PRE PRE PHONO Attivo ( Headamp) 
Graham Slee  Elevator EXP

CAVO ALIMENTAZIONE 
(per finale di potenza)
Omega Audio Concept.

DISTRIBUTORE MULTIPRESA
MIT Zeta Strip.

PORTA ELETTRONICHE
Solid Steel.

TRATTAMENTO ACUSTICO
dell’ambiente d’ascolto.

6 (3+3) pannelli Oudimmo Bass Master agli angoli posteriori.
Diffusori in abete autocostruiti per la parete di fondo.
Pannelli semi-assorbenti autocostruiti per eliminare il riverbero del soffitto.
Pavimento in ceramica lasciato nudo, 
senza tappeti.

Ore e ore di immersione nella musica e ancore tante ore davanti me.

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